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Prima di iniziare a parlare del film, occorre che vi faccia una premessa: amo il Cinema, da quando ne ho memoria. La mia passione per la settima arte risale all’infanzia, quando mi sedevo accanto a mio padre in qualche sala con le sedie di legno e mi inebriavo della magia di immagini e storie che mi portavano in un universo parallelo.



Le premesse c’erano tutte: un gran regista come Bryan Singer che aveva diretto uno dei capisaldi della storia del cinema come “I soliti sospetti” e uno sceneggiatore, Anthony McArten che aveva scritto nientepopodimeno che “La teoria del tutto”.

Sull’interprete del protagonista principale, ovvero Freddie, la scelta è caduta su Rami Malek, dopo che Sacha Baron Cohen abbandona il progetto e se ne va sbattendo la porta. Se su Cohen avevo delle perplessità, pur considerandolo un bravissimo attore (consiglio di andarlo a vedere all’opera ne Il processo ai Chicago 7), su Malek mi sono detta: e questo chi è? Per me era un perfetto sconosciuto, non avendo visto l’acclamata serie Mr. Robot. Avevo un vaghissimo ricordo di lui in una particina nel film “Una notte al museo”. Dubbi che fosse all’altezza del ruolo confesso di averne avuti tantissimi.

Arriviamo alle prime indiscrezioni: circolano le foto di Rami Malek truccato da Freddie…ebbene il primo impatto è stato totalmente negativo: l’effetto maschera di Carnevale!

Novembre 2018. Corro comunque in sala, trascinando anche un gruppo di amici, perché la curiosità ormai aveva raggiunto l’apice!

La prima cosa che colpisce del film è il comparto tecnico. Il suono e il montaggio sono impeccabili. I costumi sul palco e fuori, dei vari componenti dei Queen sono perfetti. Le scene che ricreano i live della band sono ricostruite alla perfezione. Nulla da eccepire, ma la percezione di assistere ad un lungo videoclip è evidente.

La storia, come è noto ai fans dei Queen, è modificata e zeppa di “errori” soprattutto cronologici. Tanti mi hanno detto: ma non è un documentario. Vero. Ma io mi pongo una legittima domanda: perché hanno sentito la necessità di modificare così tanto la storia della band? Che motivo c’era, se non quello di raggiungere il pubblico più generalista e meno informato sull’epopea dei nostri eroi?

Perché Freddie è stato dipinto come il fratellino capriccioso che si lascia trascinare dal cattivone di turno, Paul Prenter, per poi tornare con la coda tra le gambe “in famiglia”?

Il motivo per me è sempre quello di affascinare la platea più estesa possibile. E ci sono riusciti, perché i numeri sull’incasso e i premi che il film ha vinto, danno ragione alla linea tenuta anche dagli stessi produttori, Brian May e Roger Taylor.

Ma dal mio umile punto di vista, si poteva raccontare la loro strepitosa ascesa attingendo molto di più alla realtà dei fatti ed evitando di portare la vita di Freddie sullo schermo come l’agiografia di un santo.

La sceneggiatura, un pilastro in qualsiasi film, non mi ha mai entusiasmato. Ci sono dialoghi di una banalità disarmante. Mary e Freddie sotto la pioggia, per esempio, penso sia una delle sequenze più melense e sconcertanti. Freddie e Jim che si tengono per mano a casa dei coniugi Bulsara, mi ha fatto sobbalzare sulla sedia.



Ma perché non sono stati più onesti nel raccontare la relazione tra Mercury e Hutton e la famiglia di Freddie? Non c’era tutto questo idillio se Freddie mandava via Jim da Garden Lodge e chiamava Mary a recitare la parte della perfetta fidanzata, quando venivano in visita Bomi e Jer.

Che male c’era a far vedere le cose come stavano? Perché ci hanno voluto propinare la favoletta.

E come in tutte le favole che si rispettino c’è sempre il malvagio su cui scaricare le colpe: Paul Prenter.

Paul è un personaggio che non sta simpatico a nessuno e sappiamo che non era uno stinco di santo. Ma portarlo sullo schermo come unica motivazione della perdizione di Freddie, è stata una vigliaccata. Paul è morto da tempo e non poteva difendersi. La famiglia Prenter, in una intervista rilasciata a MailOnLine, si è notevolmente lamentata della ricostruzione, secondo loro parecchio distorta, del loro congiunto.

Un aspetto in particolare è stato edulcorato: il rapporto di Freddie con il sesso. Una persona come lui che ha sempre sbandierato, anche con ironia, la sua vita “disinibita” dichiarando di aver “avuto più amanti di Liz Taylor”, è stata poi rappresentata quasi come una educanda. Il sesso nel film è solo accennato, qualche bacetto qua e là, ma niente di più. Anche il rapporto con Mary è caratterizzato soprattutto dal romanticismo. Mi aspettavo molte più scene di sesso e questo non avrebbe reso il film volgare, ma solo più verosimile. Anche in Rocketman il buon John Reid si rotola nel letto con Elton John; perché Freddie no??? E il punto è sempre lo stesso: arrivare alla platea più vasta e più giovane senza scandalizzare o stupire. Ma Freddie era una persona eccessiva, oltraggiosa e scandalosa, e tutto questo nel film non si vede. Si percepisce? Sì, ma si poteva osare molto di più.

Rami Malek fa davvero un notevole lavoro sull’accento (vedetelo in lingua originale) e sulle movenze di Freddie. Lui DIVENTA Freddie e ti fa anche dimenticare che i suoi occhi verdi e sporgenti sono quanto di più lontano ci possa essere dagli occhi magnetici, allungati e scuri di Mercury.

Il periodo anni 70 però è quello in cui lo trovo meno somigliante e la colpa la faccio risiedere nella protesi dentale veramente troppo esagerata e sporgente indossata da Malek. Gli anni 80, invece, con la comparsa dei baffi, sono decisamente più vicini alla fisicità di Freddie.

Rami non canta. È tutto un playback. Peccato. Forse si poteva tentare… o forse davvero nessuno poteva cantare come Freddie e per questo mi sento di perdonare questa scelta.

Ho trovato invece gli altri interpreti perfetti. Fisicamente Joe Mazzello e Gwilym Lee sono John Deacon e Brian May sputati. Ben Hardy è in assoluto il meno somigliante (uno più carino non si poteva trovare? Il nostro Roger da giovane era bello da mozzare il fiato). Sono tutti molto ben caratterizzati. Credo che le loro tre personalità siano state portate sullo schermo molto meglio e in maniera molto più realistica rispetto a quella di Mercury.

In buona sostanza il film mi ha strappato una sufficienza e qualche prevedibile lacrimuccia. Ma non mi ha entusiasmato. Si poteva dimostrare più audacia, annacquare di meno la realtà e scrivere qualche battuta decente.

Sinceramente rabbrividisco al pensiero di un sequel, ma staremo a vedere se troveranno il coraggio di cavalcare l’onda.

Il film infatti ha riportato i Queen sulla bocca di tutti, ha affascinato molti nuovi fans (che andranno, mi auguro a documentarsi!) e ha portato Freddie a vincere l’Oscar!

Come avrete capito io sono tra quelli che contesta l’Oscar assegnato a Rami Malek.

Secondo i miei canoni, quell’anno c’erano interpretazioni di gran lunga migliori (Viggo Mortensen per Green Book e Willem Dafoe per Van Gogh).

Ma lasciatemi dire che durante quella notte, passata sul divano di casa ad esultare per ogni premio vinto dalla pellicola, ho infine urlato e pianto quando ho sentito Gary Oldman pronunciare la fatidica frase “and the oscar goes to…. Rami Malek!”

Su quel palco ho visto salire Freddie, in un bel completo di Armani, l’ho visto sorridere coprendosi i denti con la mano e l’ho immaginato mentre diceva: “Avete visto fin dove sono arrivato? Buona notte Bellezze!”

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