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Preparate una scorta di fazzoletti, perché questo documentario descrive la parte più triste della vita di Freddie: dal 1986 al 1991.

Le immagini si aprono sul palco di Wembley, dal quale Freddie scende trionfante, ma già deciso a non proseguire con l’avventura dei live insieme ai compagni.

Brian e Roger sono increduli, ma accettano la decisione del loro frontman, forse non ci credono fino in fondo, ma anche dopo il successo di Knebworth, Freddie è risoluto sulla sua decisione: non si esibirà più dal vivo.



Gli amici più intimi e anche la famiglia, qui rappresentata dalla sorella Kashmira, sospettano qualcosa, ma Freddie non parla con nessuno e mantiene il massimo riserbo.

Accanto alla storia personale di Mercury, il documentario si apre alle testimonianze di persone comuni che hanno vissuto tra gli anni 80 e gli anni 90, il dramma dell’AIDS.

Le loro parole fanno capire molto bene l’aria che si respirava in quel periodo. Da una parte le comunità gay vivevano allontanando il pensiero di questa nuova malattia (non succederà a me), di cui non si sapeva molto e dall’altra il mondo della politica, soprattutto americana, che ignorava il problema.

L’attenzione verso l’AIDS esplode con la morte del famoso attore Rock Hudson, da sempre considerato un sex symbol etero. Nei confronti degli omosessuali ammalati cresce lo stigma sociale: politici, giornalisti ed esponenti del clero vanno in tv a tuonare che l’AIDS è una punizione divina per i comportamenti contro natura.

David Wiggs, il giornalista molto amico di Freddie, insospettito da alcune macchie comparse sulle mani e sul volto del cantante, dichiara che durante una intervista chiese a Mercury se avesse l’AIDS e lui, a microfoni spenti, gli rispose che credeva di averlo preso. Ma anche in questo caso, l’argomento non fu più toccato fra i due amici.

La stampa britannica, in particolare il Sun (sempre a caccia di scandali), sorprese Freddie di ritorno dal suo viaggio in Giappone e chiese insistentemente informazioni al cantante sulle sue condizioni di salute e con gran disgusto disse alla stampa: vi sembro malato?

A metà circa degli anni ’80 gli attivisti per i diritti civili cominciano a protestare per il trattamento riservato agli omosessuali e la stampa continua a fare illazioni sulle preferenze sessuali anche di altre star, come George Michael o Boy George. La politica risponde con una chiusura totale nei confronti delle persone gay: non si può parlare apertamente di omosessualità. Non era decisamente un bel periodo a livello sociale!

Brian e Roger ricordano che ad un certo punto, a Montreux, Freddie confessò le sue condizioni di salute, ma chiese massimo riserbo e silenzio: avrebbe continuato a lavorare finché la malattia glielo avrebbe concesso. I compagni si stringono attorno all’amico, lavorano incessantemente agli ultimi album, e negano sempre tutto di fronte alle illazioni della stampa.

Il decadimento fisico di Freddie viene raccontato da Brian e da Peter Freestone e parallelamente il documentario prosegue con le storie delle persone comuni. Secondo me sono racconti e immagini strazianti che fanno capire ancora di più le sofferenze che ha passato Freddie.

Gli ultimi anni, tra il 1990 e il 1991, furono ricchi di lavoro e soddisfazioni per la band. Album vendutissimi e tanti premi, ma Freddie peggiora sempre più.

Lavora fino all’ultimo, incide e gira video trovando la forza chissà dove. Le persone attorno a lui sono sgomente vedendo le sue condizioni, ma ne ammirano l’immensa forza d’animo.



Freestone descrive anche gli ultimi istanti della vita terrena di Freddie. È vero che ormai se lo aspettavano tutti, ma è un durissimo colpo per gli amici e la famiglia.

I notiziari, il 25 novembre, si aprono con la notizia della scomparsa del frontman dei Queen, ma dopo un primo momento di commozione, gli stessi giornalisti si scatenano contro Mercury. Era gay, era dissoluto, era promiscuo: se lo meritava.

Per chi come me ha qualche anno sopra i 40, si ricorda perfettamente il servizio che il giornalista rai Diego Cimara, riservò a Freddie: fu offensivo, ingiurioso, di pessimo gusto.

Brian e Roger, inorriditi, si presentarono in Tv per difendere la memoria dell’amico e per ricordare che l’essere gay ed essere malati di AIDS non era una colpa.

Fu Roger a pensare per primo che occorreva un grande addio a Freddie e che bisognava farlo nel luogo simbolo della loro carriera: Wembley.

L’idea era di organizzare un grande concerto, ma chi invitare? Roger pensò subito a Elton John, grande amico del cantante, che non avrebbe mai rifiutato e a David Bowie. Tutti gli altri partecipanti vennero di conseguenza.

La lista era veramente strepitosa, anche se qualcuno la definì un po’ confusa. Ma l’intento era celebrare Freddie e sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’AIDS.

Le prove del concerto si svolsero senza intoppi; Lisa Stansfield ricorda che nessuno si comportò da primadonna. Tranne Axl Rose, che non si presentò mai a provare Bohemian Rhapsody con Elton John. Anche Roger ricorda che questo “abbinamento” era alquanto strano per l’epoca!

In quei giorni tutti ebbero modo di apprezzare l’interpretazione di George Michael di Somebody to love. La provò per quattro giorni di seguito e fu l’unico a farlo. Per lui quella canzone era molto importante: in quel periodo il suo compagno aveva scoperto di essere affetto dall’AIDS e morirà solamente 11 mesi dopo.

Il concerto fu un successo, tutti gli artisti ricordano le splendide sensazioni di stare su quel palco per celebrare Freddie e il suo pubblico.

Il documentario si chiude con Kashmira che canticchia A Winter’s Tale che si sente in sottofondo. E’ l’ultima canzone scritta dal fratello e lei pensa che quello splendido testo sia stato un modo per lui di esorcizzare la morte che sentiva imminente.

E qui vi sfido a non piangere!

Questo documentario potrà non piacere per l’attenzione riservata soprattutto alla malattia. Io credo che l’intento fosse proprio quello di riportare l’attenzione su un argomento che è stato una tragedia mondiale. I giovani di oggi non sanno cos’è l’AIDS, un virus con cui oggi si può convivere, ma non è stato ancora debellato e ci sono ogni anno migliaia di contagi.

Sono morte circa 36 milioni di persone e tra queste il nostro amato Freddie. Se si fosse ammalato solo qualche anno dopo sarebbe sopravvissuto.

Come disse Liz Taylor durante il Freddie Mercury Tribute: “Amatevi, rispettatevi, proteggetevi, perché il mondo ha bisogno di voi”

Credo che sia un messaggio molto forte anche al giorno d’oggi.

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